mercoledì 21 gennaio 2015

Sportello antiviolenza: un'esperienza pluriennale

Dott.ssa Alessia Dulbecco
La mia esperienza professionale comincia nel 2010. Dopo la laurea in Scienze Pedagogiche, conseguita a Genova, decido di far ritorno ad Imperia, mia città di origine. Qui svolgo un tirocinio presso il Centro Provinciale Antiviolenza, aperto da poco meno di un anno. Lavorare in questo settore è sempre stato il mio desiderio: avevo già fatto una breve esperienza (tramite un tirocinio formativo durante il periodo universitario, presso il Centro d'accoglienza per non subire violenza, a Genova) e ad Imperia decido che il tema della violenza di genere, del sessismo e degli stereotipi di genere, dei diritti e delle pari opportunità diventerà il mio principale interesse professionale. Nel 2011 vinco il concorso per svolgere, come libera professionista, la professione di educatrice a supporto delle attività del centro antiviolenza. Nel corso dei quattro anni di attività mi sono occupata sia di fare prima accoglienza alle vittime sia di realizzare progetti educativi e di sensibilizzazione per le scuole medie e superiori. Parallelamente all'impegno professionale decido di riprendere gli studi e mi iscrivo ad un Master in Counselling, secondo la prospettiva Analitico Transazionale. Il percorso di studi ha migliorato le mie competenze per svolgere meglio l'attività di sostegno alle vittime. Nel'incontro di accoglienza, infatti, si aiuta la donna a focalizzare il problema che l'ha spinta a chiedere aiuto, a riflettere sui comportamenti agiti e subiti e soprattutto, a fare chiarezza attorno al suo vissuto di violenza aiutandola a nominare (e, quindi comprendere) i fatti accaduti. Le competenze che il master mi ha fornito mi ha aiutato a svolgere questo incarico in maniera migliore. Parallelamente ho iniziato a realizzare progetti educativi per le scuole medie e superiori sul tema dell'educazione al rispetto e al contrasto degli stereotipi di genere. Le attività svolte con le scuole medie mi hanno permesso di collaborare con Anna Littardi, una collega professionale e preparatissima. Il lavoro in squadra è stato fondamentale: progettare, incontrare i docenti, lavorare con gli studenti è stato possibile solo grazie ad un efficace lavoro d'equipe. Parallelamente alla collaborazione col Centro Antiviolenza ho portato avanti altre attività: ho lavorato come formatrice in un ente di formazione - con giovani in condizione di disagio sociale e scolastico - e ho svolto attività di docente in materia di pari opportunità in molti corsi formativi e di aggiornamento professionale. Nel 2013 ho vinto un concorso come esperta in tematiche di genere presso il Comune della mia città: ho realizzato un progetto di prevenzione agli stereotipi di genere in un nido di infanzia, con bambini tra i 24 e i 36 mesi. Il progetto - che è stato pubblicato sul sito di Anci, tra le buone pratiche promosse dai comuni - era finalizzato alla prevenzione degli stereotipi e si articolava in due fasi: una di osservazione delle modalità di gioco dei bambini (all'interno di situazioni strutturate) e una di restituzione ai genitori. Questa seconda fase ha permesso ai genitori di confrontarsi sul tema, chiarendo dubbi e perplessità e ha favorito una nuova consapevolezza sia rispetto agli stereotipi sia rispetto alle implicazioni che essi hanno sulle pari opportunità uomo-donna. Ho lavorato, inoltre, come educatrice in una comunità di accoglienza per giovani donne - con disagio sociale - e i loro bimbi. Qui mi sono occupata sia di gestire le relazioni tra i nuclei familiari e monitorare l'educazione e la formazione dei bambin* ospiti. Alla fine del 2014 ho deciso di trasferirmi in Toscana: attualmente collaboro con Isos - lgbti empowerment & gender inclusion - nella realizzazione di interventi formativi su tematiche lgbt, pari opportunità, educazione al rispetto delle differenze. Amo molto il mio lavoro anche se mi piacerebbe che la figura del Pedagogista potesse conquistare una dignità (che nei secoli ha avuto ma che ora pare perduta) e una sua ragione d'essere. Per quanto sia felice di aver svolto tutti miei incarichi professionali sotto la qualifica di "educatrice" vorrei poter essere chiamata pedagogista e definirmi tale senza creare imbarazzo tra gli interlocutori che non hanno assolutamente chiaro di cosa si occupi questa figura professionale. Credo che questo cambiamento debba partire anzitutto dai professionisti ed è per questo che ho voluto trasferirmi a Firenze: il confronto coi colleghi e nuove opportunità di crescita sono essenziali per una migliore formazione della mia professionalità.



martedì 20 gennaio 2015

Europa 2020: una nuova economia basata sulla conoscenza

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Quali sono gli obiettivi attuali dell’Unione Europea? Come si è arrivati ad essi? È bene fare prima una breve premessa sulla storia dell’Unione e sulle politiche sociali dalle origine ai giorni nostri.
Una prima sorta di comunità si ha col ‘Trattato di Parigi’ del 1951 in seguito alla ‘dichiarazione Schuman’ che tendeva a regolare i rapporti riguardante gli affari carbo-siderurgici tra Francia e Germania e ad impedire il riarmo di quest’ultima; con questo trattato nasce la CECA, ovvero la Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio. Ma è nel 1957 che nasce il primo vero e proprio trattato sulla Comunità Europea, cioè il ‘Trattato di Roma’, al quale verranno poi apportate diverse modifiche; nasce la CEE (Comunità Economica Europea) che diventerà poi CE (Comunità Europea). Con questo trattato si stabiliva l’importanza di abbattere le barriere per permettere la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. La prima modifica al trattato avviene nel 1986 con l’ ‘Atto Unico Europeo’, il quale stabiliva la creazione di un libero mercato entro il 1992, anno in cui è stato stipulato il ‘Trattato di Maastricht’, che ha determinato il passaggio dalla CE all’UE (Unione Europea). Con questo trattato le politiche sociali diventano un settore specifico e non sono più soltanto politiche di accompagnamento al lavoro. Nel 1997 col ‘Trattato di Amsterdam’ ci si orienta verso il problema della disoccupazione e la politica sociale diviene un obiettivo comune. Nel 2001 con ‘Trattato di Nizza’ ci si prepara a supportare un Europa in allargamento, ad ospitare cioè i PECO (Paesi dell’Europa Centro Orientale). Nel 2007 col ‘Trattato di Lisbona’ la Carta dei Diritti fondamentali diviene giuridicamente vincolante.
Questi trattati hanno ovviamente determinato diverse altre modifiche come la politica di coesione economica e sociale meglio conosciuta come politica regionale. La politica regionale non era prevista dal ‘Trattato di Roma’ ma ha il suo fondamento giuridico con l’ ‘Atto Unico Europeo’. La politica regionale prevedeva la riduzione delle dissonanze regionali attraverso l’utilizzo dei fondi strutturali. È nel 1988 che avviene la prima riforma, chiamata ‘Pacchetto Delors 1’ che prevede 5 principi: sussidiarietà, programmazione, concentrazione, partnership, addizionalità. Gli obiettivi fino a questo momento sono così numerati: 1, 2, 3, 4, 5°, 5b. Nel 1993 avviene la seconda riforma ai fondi strutturali che prevede l’introduzione dell’obiettivo 6. La terza riforma che riguarda la programmazione 2000-2006 prende il nome di  ‘Agenda 2000’. Qui gli obiettivi diventano tre e riguardano essenzialmente la sviluppo delle risorse umane e la riduzione delle dissonanze regionali. La quarta riforma denominata ‘programmazione 2007-2013’ ha tre obiettivi non numerati che sono: convergenza, competitività regionale e occupazione e cooperazione territoriale. L’obiettivo convergenza va a supporto delle regioni con un PIL del 75% inferiore alla media; l’obiettivo competitività regionale e occupazione cerca di creare nuovi posti di lavoro anticipando la realtà socio-economica; la cooperazione territoriale consiste nella collaborazione da parte di due o più regioni che pur non appartenendo ad uno stesso Paese ma che confinano o che condividono lo stesso mare, possono far fronte comune ai problemi condivisi e ricercare una soluzione. L’ultima riforma si chiama ‘Europa 2020’, riguardante la politica di coesione 2014-2020. Essa mira ad un’economia basata sulla conoscenza, quindi sulla crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. Adottata nel Marzo del 2010, è basata sul partenariato, cioè sulla condivisione di problemi. Sono state stabilite sette priorità chiamate ‘iniziative faro’ riguardanti: il miglioramento e lo sviluppo delle competenze, il sostegno ai ricercatori, il supporto alle imprese per superare la crisi. Queste priorità sono coinvolte al sostegno delle Regioni in via di sviluppo.
https://www.facebook.com/Associazione-Educazione-e-Formazione-1554579444829278/

domenica 21 dicembre 2014

Educatori senza frontiere

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Inizialmente il progetto lanciato dall’associazione “Educatori Senza Frontiere” incontrò alcune istituzioni come medici senza frontiere e iniziative religiose sul territorio africano. L’idea nasce da un viaggio in Madagascar nel 2003. Quest’associazione offre una formazione per coloro che hanno una laurea, triennale o specialistica, nel settore dell’educazione e della formazione e si svolge solitamente dal mese di Novembre a Maggio concentrata in un week end al mese nelle sedi di Roma e Milano. I progetti maggiori si svolgono in Angola, Brasile, Honduras, Madagascar, Ruanda. Lo strumento che sta alla base delle esperienze degli educatori durante il loro soggiorno è il diario, in cui annotano sensazioni, momenti, dettagli, sorrisi, nomi. Al centro della loro educazione c’è la metafora del viaggio. Di seguito la citazione di uno dei loro libri che ritengo più toccante:
“L’educatore errante[…] ha un occhio animale esercitato a distinguere le aurore e le tempeste. Lo frega il cuore. Sente il dolore dall’altra parte dell’oceano, annusa la sofferenza come fosse la sua sposa, coglie l’immenso sul tavolo di lavoro, fraternizza con il diverso perché l’alterità è la sua pelle.”
Un mondo da scoprire. Un’esperienza di vita da prendere seriamente  in considerazione.


Bibliografia
Mazzi A. (2013), Educatori senza frontiere. Diari di esperienze erranti, Erickson, Trento


Sito ufficiale


http://www.educatorisenzafrontiere.org/

Pagina facebook
https://www.facebook.com/pages/Educatori-Senza-Frontiere/408314019183774?fref=ts

Link Amazon
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martedì 9 dicembre 2014

Requisiti per insegnare negli USA

Dott.ssa Filomena Fuduli Sorrentino

Numerosi lettori de LA VOCE di New York mi scrivono domandandomi come si diventa docenti d’italiano negli USA, in particolare, come fare per insegnare nello stato di NY. Impossibile rispondere a tutti, per cui ho deciso di scrivere un articolo cercando di soddisfare le domande dei miei lettori. Una delle numerose lettrice mi ha scritto chiedendomi: “Gentile professoressa, mi chiamo Elisabetta Pace e le scrivo in merito a un suo articolo che leggevo sull'insegnamento a New York. Volevo gentilmente chiederle se può darmi qualche indicazione per capire quali sono i requisiti per insegnare italiano a New York, poiché contavo di trasferirmi. Sono in possesso di una laurea triennale in lettere moderne, insegno italiano agli stranieri da tre anni e a breve sosterrò l'esame d’inglese livello b2 Cambridge. Mi scuso se mi sono permessa di contattarla ma purtroppo non conosco nessuno che può darmi qualche indicazione precisa, e leggendo della sua esperienza come insegnante ho pensato di scriverle. La ringrazio anticipatamente e mi scuso ancora per il disturbo. Cordiali saluti Elisabetta Pace” (Pubblicata con il suo permesso).
Carissima Elisabetta, e altri lettori e lettrici che mi avete scritto chiedendomi le stesse informazioni. Per diventare docenti d’italiano, abilitati all’insegnamento nelle scuole pubbliche, tutti gli stati degli USA richiedono un minimo di una laurea di quattro anni con specializzazione nell’istruzione (education). I requisiti per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole pubbliche si concentrano su questioni pedagogiche e conoscenze fondamentali dell'apprendimento e insegnamento come: La linguistica, la cultura, e la ricerca, con specializzazione per l’insegnamento agli studenti di livello secondario o elementare. 
Inoltre, alcuni stati richiedono che gli insegnanti ottengono un master nelle arti d’istruzione (MA), o un master nelle scienze d’istruzione (MS in education), completato entro cinque anni dal completamento della loro laurea e abilitazione iniziale, e NY è uno di questi stati. 
Oltre a ciò, è molto importante sapere l’inglese molto bene, tenendo presente che fuori dall’Italia s’insegna l’italiano come lingua straniera e non come L2. Molti confondono la differenza tra insegnare una lingua straniera e insegnare una seconda lingua. Per fare un esempio, negli USA s’insegna l’inglese come seconda lingua (ESL) e gli altri idiomi come lingue straniere, mentre in Italia gli studenti stranieri imparano l’italiano come seconda lingua ma l’inglese e le altre lingue come idiomi stranieri (EFL). Detto questo, nelle scuole pubbliche degli USA il metodo di totale immersione della lingua italiana non funziona perché bisogna dare spiegazioni anche in inglese. Nelle scuole pubbliche di NY gli studenti non imparano tutti allo stesso modo o con la stessa velocità, quindi bisogna differenziare con l’istruzione e seguire gli standard dello Stato di NY  che sono bilingue. Come se tutto questo non bastasse, ci sono anche i National Common Core Standards(CCS) che sono “Language and Literacy” (lingua e alfabetizzazione). I CCS richiedono a tutti gli insegnanti di aiutare gli studenti a migliorare sia la lettura e sia la scrittura in inglese. Comunque, se s’insegnano i livelli alti, e a studenti motivati, si usa solo l’italiano, ma ai colloqui di lavoro i docenti sono valutati sulla qualità del loro inglese, sia parlato e sia scritto, e non solo sulla qualità dell’italiano.
Tornando ai programmi per i docenti d’italiano, il loro obiettivo è di preparare insegnanti professionisti con una solida base di corsi di lingua: alfabetizzazione, linguistica, teorie d’acquisizione, e apprendimento seguendo una serie di approcci didattici per l’insegnamento del lessico, sia comunicativo e sia comprensivo. Perciò i docenti ricevono molta preparazione anche sulle diverse culture ed etnicità, in modo che una volta entrati nelle classi di lingua possano soddisfare l’esigenza e la diversità degli alunni americani.
Non sono molto informata sulla laurea triennale di cui parla Elisabetta, di solito negli USA i corsi di laurea per docenti, presso un accreditato college/università, sono completati in quattro anni. Un BA o BS richiede un totale di 128  crediti, tra cui  64 nelle materi umanistiche, 28 di lingua, e il resto di pedagogia, didattica, e pratica d’istruzione (tirocinio). I programmi di master durano da uno a due anni e possono essere di 34-44 crediti. Ottenendo l’abilitazione con il BA o il BS ne bastano trentaquattro crediti, ma senza se ne devono completare quarantaquattro. Lo studio per il master si concentra sia sulla teoria e sia sulla pratica dell’insegnamento e apprendimento, ma anche sullo sviluppo adolescenziale, sugli studenti con problemi d’apprendimento o con bisogni speciali, sulla pedagogia, sulle prospettive interculturali, la valutazione delle competenze linguistiche, la ricerca l'acquisizione della lingua, e sui diversi metodi e tecniche d’insegnamento comunicativo della lingua attraverso i contenuti. 
Poi ci sono i requisiti per l’abilitazione, i quali variano notevolmente da stato a stato. La maggior parte delle università negli USA ha livelli di abilitazione secondo lo stato in cui i futuri docenti vogliono insegnare, le abilitazioni sono scuola primaria (elementare 1-6) o secondaria (7-12). Ci tengo a sottolineare che per insegnare nelle scuole pubbliche, oltre all’abilitazione all’insegnamento della lingua che si vuole insegnare (NYS certified), la legge richiede che i docenti abbiano le impronte digitali controllate prima di fare una domanda d’insegnamento in una scuola pubblica. Le impronte digitali devono risultare senza nessun precedente criminale. Nessuno può lavorare in un istituto scolastico pubblico senza aver avuto il controllo delle proprie impronte digitali. Il costo per il controllo delle impronte è di $100.00.
Insegnando bisogna sempre ricordare che lo Stato ha il potere di ritirare l’abilitazione agli insegnanti che non seguono le regole /leggi delle scuole pubbliche. Ottenere l’abilitazione non è facile perché si devono superare tre esami che durano quattro ore ciascuno. Si possono dare due esami per volta, uno di mattina e uno di pomeriggio, e si possono ripetere fino a quando si superano, ma costano $ 119.00 ognuno, e se non si passa un esame la prima volta, si ripaga il costo.  Ogni volta che si dà un esame statale, l’impronta del pollice destro del docente è impressa sul test.         
Infine, per ottenere l’abilitazione all’insegnamento molti stati richiedono i seguenti requisiti: Laurea in istruzione da un'università accreditata con un programma di formazione per insegnanti. Il superamento di esami specifici dallo stato in cui si vuole insegnare o l'esame PRAXIS. Molti Stati richiedono agli insegnanti di completare il Master in cinque anni. http://certificationmap.com/states 

Liberal Arts and Sciences Test (LAST) (http://www.nystce.nesinc.com/NY_testinfo.asp?t=001) 

Filomena Fuduli Sorrentino, insegna alla South Middle School, ECSD, Newburgh, NY.  Nata e cresciuta in Italia, calabrese, vive  a New York dal 1983. Diplomata alla scuola Magistrale in Italia, dopo aver studiato alla SUNY, si è laureata alla NYU- Steinhardt School of Culture, Education, and Human Development, con un BS e MA in Teaching Foreign Languages & Cultures.  Dal 2003 insegna lingua e cultura italiana nelle scuole pubbliche a tempo pieno e nelle università come Adjunct Professor. È abilitata dallo Stato di New York all’insegnamento nelle scuole pubbliche delle lingue italiana 1-6 & 7-12, ESL K-12 e spagnola 1-6 & 7-12

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lunedì 8 dicembre 2014

L'esperienza di...Enzo Pezzullo

Mi chiamo Pezzullo Enzo John  e lavoro da circa 10 anni in cooss marche (cooperativa sociale di tipo A quindi che si occupa di servizi alla persona  ovviamente con disagio e problematiche psico- fisiche).

Formazione  : 
*CERTIFICATO DI SPECIALIZZAZIONE TECNICA SUPERIORE IN  “ tecnico superiore per strutture e servizi rivolta a persone con disabilità psico-fisica e disagio mentale ( OPERATORE PER L’INTEGRAZIONE) corso di 1200 ore. 
*CERTIFICATO DI SPECIALIZZAZIONE IN OPERATORE PER MINORI DI 600  ORE . 
*Corso di formazione per clown col TELEFONO AZZURRO. 

Mi occupo di animazione sociale nelle case di riposo con progetti;  collaboro col telefono azzurro e con comunità exodus per il recupero di ragazzi con dipendenze da sostanze. Gli ultimi quattro anni ho operato come animatore in una casa di riposo in particolare “Vittorio Emanuele II” di Jesi con un’utenza di centinaia di persone creando eventi e un tipo di animazione nuove e sperimentale basata sulla comunicazione verbale e non verbale che potesse arrivare a tutti presenti.

contatti: erasmotre@virgilio.it




venerdì 21 novembre 2014

Telethon: regali solidali a sostegno della ricerca

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Telethon dal 1990 si occupa di trovare una cura per le malattie genetiche rare; ciò è reso possibile dai finanziamenti che contribuiscono alla ricerca medica. Questa iniziativa può essere sostenuta sia dai volontari che operano sul territorio, sia dai partner e donatori che ogni anno aiutano la ricerca. Ad oggi si conoscono diverse migliaia di malattie genetiche, per un 70% pediatriche; per la maggior parte di queste non esiste una terapia risolutiva. La rarità di queste patologie fa sì che esse siano trascurate dai principali investimenti pubblici e privati. TELETHON esiste per fare in modo di includere tutti nel diritto ad una possibile cura. La ricerca di Telethon non promette miracoli, ma procede verso traguardi sempre più vicini alla cura delle malattie genetiche.
Lo fa avvalendosi di un gruppo di scienziati di fama internazionale che compongono la Commissione medico scientifica di Telethon per selezionare solo i progetti migliori. Accanto alla qualità scientifica, la Commissione adotta anche altri due criteri importanti per valutare i progetti: da una parte la loro rilevanza rispetto allamissione di Telethon, dall'altra la prossimità alla cura, ovvero la maggiore possibilità di generare informazioni utili a elaborare o migliorare una terapia.
Un metodo che ha permesso, grazie alla generosità di milioni di italiani e di centinaia di aziende, di trattare con successo 16 bambini affetti dall'Ada-Scid, una gravissima immunodeficienza ereditaria. Per altre patologie è stata avviata la sperimentazione clinica.
In questi anni il lavoro dei ricercatori Telethon ha avuto una notevole ricaduta sulla conoscenza di 449 malattie genetiche.
Online è anche possibile sfogliare i 2.532 progetti di ricerca finanziati dal 1990 a oggi.
Ai ricercatori che vogliono ottenere un finanziamento e a tutti quelli che già ne usufruiscono, Telethon offre un servizio di supporto online con il quale, oltre alla consultazione dei bandi e dei criteri di selezione utilizzati, è anche possibile accedere a un sistema di gestione dei fondi assegnati.
Sul sito è possibile acquistare diversi regali, bomboniere e partecipazioni solidali.

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sabato 8 novembre 2014

Il bambino a rischio autistico

Dott.ssa Maddalena Di  Rosa
Il testo ha lo scopo di individuare i soggetti in tenera età a rischio autistico. Il termine “rischio” tende a porre l’accento sulla possibilità di prevenire la sindrome attraverso metodi educativi individualizzati sia per i bambini sia per i genitori. La parola “sindrome” mette in risalto che l’autismo non sia una malattia, e i sintomi potrebbero essere presenti fin dalla nascita. Grazie agli studi di Carel è stato verificato che nei neonati depressivi gli inizi di sofferenza cominciano quando il medico distoglie l’attenzione da loro; nei neonati autistici avviene l’esatto opposto. Il bambino autistico vive in un mondo proprio e quando una persona cerca di portarlo alla realtà inizia a soffrire, vivendo il rapporto con gli altri come qualcosa di forzato. I creatori di questo lavoro valutano diversamente la possibilità di individuare tali sintomi, a seconda del campo di appartenenza. Tra i principali sintomi vanno ricordati la mancanza o la parzialità delle seguenti abilità del bambino: “contatto visivo e sorriso nella socializzazione, attenzione condivisa, risposta alla voce familiare, indicazione con il dito, imitazione”. In particolare è stato creato uno schema a cui si può fare riferimento per verificare le abilità di base che il bambino dovrebbe aver acquisito in tre diverse fasce d’età: da zero a sei mesi, da sei ma dodici mesi, da uno a due anni. Spesso accade però che determinate caratteristiche, a causa del rifiuto dei genitori, vengano prese in considerazione in età ben più avanzata, quando cioè le caratteristiche sono ben più marcate. Il bambino inoltre tende ad assorbire le emozioni familiari. Questo processo è molto importante e bisogna saperlo indirizzare nella maniera più idonea possibile dal momento che questa associazione può segnare l’appartenenza ad un gruppo. Gli autori fanno riferimento a un approccio tran disciplinare che prende in considerazione diverse correnti di pensiero tra cui: la psicoanalisi, il cognitivismo, la neuropsicologia, lo studio clinico. Lo studio di diverse discipline offre la possibilità di una visione globale dell’autismo e in particolare vengono proposte alcune caratteristiche dei bambini a rischio autistico ed elencati i vari disturbi che esso comporta, tra cui i disturbi dell’attenzione, disturbi dello sguardo, disturbi motori. Uno degli aspetti importanti del lavoro di questa èquipe di professionisti è l’intervento precoce nei confronti del bambino che potrebbe essere a rischio autistico, dal momento che la diagnosi di autismo non viene confermata prima dei trenta mesi, e di conseguenza non vengono effettuate gli interventi educativi necessari. Gli studiosi che hanno collaborato a questo lavoro suggeriscono, infatti , dei fattori a cui prestare attenzione in diverse fasi dello sviluppo del bambino. Ai genitori, invece, viene proposto un check-up completo sia dal punto di vista psichico sia dal punto di vista biologico al fine di poter guardare il bambino nella sua complessità. Il lavoro educativo dovrà essere sempre svolto con i genitori, fino a quando il bambino riuscirà ad essere autonomo senza subire danni. La dottoressa Livoir-Petersen ipotizza l’impossibilità di trasferire le proprie emozioni come possibile causa dell’autismo. Affinché possa raggirare un ostacolo ritenuto insormontabile, il bambino attiva mezzi di evitamento nella maggior parte delle relazioni con gli altri. Il bambino si trova, invece, a comunicare con gli altri per superare gli impedimenti circostanti. È importante prendersi cura del bambino e cercare di sviluppare in lui l’autonomia necessaria per far fronte ai bisogni primari che si presentano durante la giornata. Un altro aspetto importante, e che non bisogna perdere di vista, è la capacita di pensare ed elaborare risposte personalizzate legate e problemi specifici, partendo dai valori che vengono trasmessi al bambino. Quest’insieme di esperti ha fondato una “federazione autismo “ al fine di confrontare le esperienze e le conoscenze di quattro èquipe di  psichiatria infantile e dell’adolescenza. Lo scopo di questa sintesi di saperi è l’elaborazione di una ricerca dinamica che non si arresti. Dagli studi emerge la proposta da parte dei medici, nei confronti dei genitori, di intraprendere un lungo lavoro di integrazione in ambito socio-educativo per il bambino autistico. È stato ipotizzato, inoltre, che una certa continuità relazionale con il personale educativo può aiutare alla costruzione di una continuità d’essere. Questa esperienza svolta in Francia nel 2003 da professionisti provenienti da viversi campi, è stata una scelta voluta, al fine di guidare l’autismo con maggiore precisione sotto diverse prospettive e arrivare ad una visione d’insieme. Queste ricerche costituiscono un punto di partenza per capire se la prevenzione possa essere rivolta solo a questa sindrome o anche ad altri disturbi. Nel saggio viene fornito anche uno schema generale dei comportamenti dei bambini a rischio,partendo già dalla loro descrizione nel primo semestre di vita. Il primo strumento a dover essere preso in considerazione in neuropsichiatria, ma in qualsiasi altra scienza, resta sempre l’osservazione. Questa è consigliabile che avvenga alla presenza delle persone che interverranno, dal momento che l’osservazione di un filmato girato dalla famiglia del bambino potrebbe non riprendere con precisione alcuni particolari come la direzione dello sguardo. Nel testo vengono citati anche alcuni casi che il team di esperti ha avuto la possibilità di studiare da vicino. Tra gli esempi riportati viene citata anche la storia di una bambina che, con gli interventi adeguati, è riuscita a non acquisire questa sindrome; o ancora, l’episodio di una bambina a cui era stato diagnosticato l’autismo e che uno degli esperti aveva mentito tale diagnosi dimostrando che si trattava di un forte stato depressivo dovuto al trasferimento della famiglia in un’altra casa. Oltre gli esempi di storie vere vengono riportati anche dei giochi che i genitori dovrebbero fare con i loro figli. Il testo, scritto in forma molto fluida e scorrevole, fornisce, inoltre, ottimi punti di partenza per ulteriori ricerche. Tra gli argomenti più rilevanti da approfondire per le persone che lavorano con bambini autistici va ricordata la Check-list for Autism in Toddlers (Ch.A.T.). si tratta di un questionario da svolgere insieme ai genitori del bambino per individuare la presenza o meno del rischio di autismo e il grado di gravità in cui si trova il soggetto, anche se bisogna tener presente la soggettività di ogni individuo e quindi non attribuire un valore assoluto ai risultati del test. Un altro aspetto  rilevante è l’evitamento relazionale del bambino che viene descritto nelle sue caratteristiche più evidenti. Un concetto non trascurabile è senz’altro quello di “ sofferenza psichica del neonato” che rileva la necessità di tutelare il “diritto di cittadinanza alla sua vita psichica in quanto tale”. Viene poi messa in risalto l’importanza che la comunicazione paradossale può avere per analizzare come il bambino reagisce nel momento in cui si trova a dover interagire con altre persone. L’ elaborato, oltre ad essere un ottimo documento di approfondimento riguardante il rischio autistico, rappresenta il superamento dell’utopia della prevenzione che si trasforma in una vera e propria speranza di poter arrivare, attraverso la ricerca scientifica, ad un metodo pedagogico ben definito che miri alla risoluzione del problema prima che si presenti in maniera concreta e dunque più difficile da recuperare.

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Bibliografia
Delion P. (2004), Il bambino a rischio autistico, Pendragon, Bologna

sabato 25 ottobre 2014

Pedagogia speciale. La riduzione dell'handicap

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Parlare di integrazione è un’impresa ardua. Canevaro nel teso “Pedagogia speciale. La riduzione dell’handicap” tratta di questo tema prendendo in considerazione più elementi che possono essere utili ai fini dell’inserimento della persona disabile in un qualsiasi tipo di contesto. Innanzitutto introduce il problema dell’integrazione partendo dal presupposto che il nostro Paese solo in teoria promuove questo tipo di esigenza, ma in pratica ha una percentuale bassissima di insegnamenti che riguardino la Pedagogia Speciale. Un primo passo da compiere è prendere coscienza del problema e cercare di ridurre le difficoltà al fine di costruire un’identità ben formata del soggetto. Bisogna poi tenere presente anche l’ambiente in cui si opera, quindi guardando anche il contesto socio-storico-culturale. Un punto di partenza importante per lo studio delle scienze dell’educazione è chiarire il ruolo della pedagogia; essa non deve essere considerata solo come scienza teorica o come scienza esclusivamente pratica, bensì come scienza d’intervento che presuppone una sintesi di teoria e prassi. Tale disciplina scientifica  ha tra i suoi obiettivi di base quello di aprire al dialogo, cioè di impostare una relazione bilaterale. Solo così si potrà arrivare ad una relazione educativa basata sulla reciprocità, sulla diade educatore-educando, andando ad eliminare definitivamente la figura del maestro-educatore come emblema autoritario.
Il problema principale dell’handicap è che, spesso, porta ad una categorizzazione automatica e quindi all’esclusione dal gruppo di coetanei. Nasce quindi la necessità di una relazione di aiuto supportata da una pluralità di sostegni. La necessità di più figure che lavorano con la persona disabile scaturisce dalla possibilità di poter trovare gli indicatori della riduzione dell’handicap. La persona disabile, però, non può essere educata solo in base a suo handicap, ma bisogna tener presente anche la sua personalità globale, quindi considerando anche le differenze di genere, di cultura, etniche. Viene valorizzata sulla base di questa premessa, la visione della Pedagogia come scienza non statica, bensì di ricerca.
Tra gli aspetti da valutare c’è anche la situazione italiana rispetto agli altri Paesi, poiché nella nostra Nazione l’integrazione viene studiata ed applicata solo nell’ambito scolastico; gli altri Stati hanno percepito la necessità di estendere le abilità sociali della persona diversamente abile anche ai contesti extrascolastici.
Per analizzare un problema in maniera critica è opportuno partire dalle sue origini. Per questo Canevaro espone i progressi della scuola nell’ultimo ventennio. Tra gli eventi più importanti da ricordare viene citata anche la riforma Gentile, che successivamente ha portato anche alla nascita di scuole per handicappati.
Illuminante la riflessione sulla modalità di apprendimento di materiali della medesima difficoltà; l’autore sottolinea che gli argomenti diversi che possono essere considerati dello stesso livello non necessariamente avvengono con la stessa semplicità.
La pedagogia deve integrare le varie conoscenze riguardo tecniche e strumenti per ripensare nuove teorie, rivalutarle, adattarle a un determinato contesto.
La riduzione dell’handicap può essere considerato un vero e proprio problem solving. L’esempio riportato nel testo è quello di una persona col pannolone che impara a gestire le sue esigenze. Per la riduzione dell’handicap è necessaria la collaborazione da parte della famiglia con le istituzioni che lavorano nell’ambito della disabilità. La famiglia, e in particolare i genitori, devono orientarsi verso una prospettiva della valorizzazione.
Tra gli strumenti presi in considerazione per lavorare in quest’ambito troviamo anche i media. Un riferimento particolare viene fatto per la musica; in generale l’arteterapia viene considerata tra le tecniche attuali più innovative.
Come ogni scienza, anche la pedagogia necessita di specifici  termini tecnici per poter avere un quadro specifico della situazione  e per poter intervenire in modo adeguato. A tal proposito è nata la Pedagogia istituzionale, che racchiude la revisione di proposte sull’educazione, facendo particolare riferimento alla collaborazione.
Una parte del testo è dedicata a Freinet, dal quale si possono trarre molti spunti su cui lavorare all’integrazione dell’alunno. Innanzitutto è da considerare indispensabile il rapporto esperienza-conoscenza, che per l’autore francese può essere anche facilitato dalla televisione, anche se essa pone un altro problema, quello dell’imitazione dei personaggi televisivi. Non poteva non essere citato, poi, lo schedario come strumento essenziale per la collaborazione all’interno del gruppo classe. Da non trascurare è il concetto di trasmissione di cultura, che dovrebbe trasformarsi in produzione di cultura. Inizia poi un’analisi sui rapporti tra ascolto-parola, bisogno-risposta, disagio-benessere, curiosità-ricerca. Freinet, inoltre, pone in evidenza anche il luogo in cui avviene l’apprendimento, che può avvenire anche a distanza. Attualmente è possibile pensare anche a un tipo di apprendimento a distanza agevolato da uno strumento tecnologico specifico: il computer. L’ultimo argomento trattato è l’elemento simbolico come valore fondamentale dell’apprendimento.
L’ultima parte del lavoro di Canevaro si apre con la descrizione di un gruppo di persone con handicap che vivono in una situazione di estrema povertà nel loro Paese d’origine, ma essendo entrati come clandestini in un altro Paese per lavorare, preferiscono rimanerci per sentirsi utili dal momento che hanno trovato un occupazione. Ciò vuole evidenziare, ancora una volta, quanto sia doveroso prendere in considerazione i diversi aspetti di una persona; anche se i clandestini erano persone handicappate si percepivano soprattutto come disoccupati.
Il professore Canevaro, però, ci offre anche un esempio positivo di integrazione, illustrando la nascita di un’associazione in Québec, che sostiene le persone handicappate e i loro familiari appartenenti a diversi gruppi etnici.
Ogni capitolo è corredato di schede con lo scopo di approfondire l’argomento, o da esempi concreti che mostrino come mettere in atto ciò che è stato letto in precedenza.
In appendice è possibile trovare delle schede di lettura contenenti citazioni e recensioni tratte da alcuni testi sulla disabilità.


Il testo si chiude con una descrizione sui centri di documentazione sull’handicap e l’esigenza imprescindibile di concentrarsi proprio sull’handicap e non sul deficit. Da qui nasce anche il problema di trovare i giusti mediatori che possono essere anche oggetti che aprano il rapporto con l’altro. In ultima istanza viene suggerito di consultare il Centro Documentazione Handicap con sede a Bologna, fornendo i relativi recapiti.

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Bibliografia
Canevaro A. (1999), Pedagogia speciale. La riduzione dell'handicap, Bruno Mondadori, Milano.
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domenica 12 ottobre 2014

Educare alle scelte

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
L’orientamento ha assunto un ruolo importante nella società attuale. Il compito dell’educatore è orientare verso scelte che siano coerenti con le proprie potenzialità e ambizioni. In questo contesto è fondamentale un approccio transdisciplinare. Uno dei maggiori problemi è che le istituzioni esistenti non riescono a formare dei soggetti che siano in grado di sviluppare un tipo di pensiero critico. Orientarsi vuol dire avere la capacità di sviluppare diverse ipotesi all’interno di una realtà complessa. La costruzione della consapevolezza e della responsabilità sono qualità necessarie per guidare le proprie azioni. Il lavoro educativo si concentra sulla formazione alla consapevolezza di sé e alla responsabilità culturale per la costruzione di identità critiche. L’identità personale presuppone il cambiamento, anche se l’ignoto può spaventare a primo impatto.
Il modo di interpretare la realtà è legato essenzialmente alla cultura di appartenenza. La crisi della società attuale dipende dall’incertezza che scaturisce dal cambiamento. La percezione della sicurezza si fonda sull’espressione della fiducia. Ad esempio un bambino sviluppa fiducia in se stesso nel momento in cui si stabilisce con i genitori un rapporto stabile. La fiducia implica reciprocità di esperienze. L’opposto della fiducia è l’angoscia o paura dell’esistenziale. Il rapporto con la parentela rappresenta il primo grande luogo dove costruire la fiducia. Un altro contesto importante è il rapporto con la comunità locale, anche se non sempre i rapporti sociali avvengono in presenza (es. telefono, internet). Altro punto di riferimento è la religione: a prescindere dal tipo di fede, l’idea di avere degli enti superiori che governano il mondo infonde sicurezza. Il rapporto con la tradizione pone le basi per l’organizzazione e la costruzione del futuro. Abbiamo poi la fiducia nei sistemi esperti (ascensore, palazzo). La sicurezza ontologica consente di costruire un percorso di vita orientato alla fiducia.
Altra questione che riguarda gli effetti della crisi è la deriva del senso. È necessario ricordare che le cose hanno senso in base al valore che gli uomini gli danno. Gli uomini imparano a dare un senso a ciò che li circonda. I bambini costruiscono il significato attraverso il linguaggio; ciò implica tre passaggi: 1)il linguaggio viene acquisito attraverso l’uso; 2)i bambini prima di esprimersi attraverso il linguaggio verbale si esprimono attraverso movenze e gesti; 3)il bambino riesce ad esprimersi perché collega alle parole il rispettivo significato. La vita sociale rappresenta sicuramente la base per la costruzione di significato. La frantumazione delle relazioni sociali fondamentali produce disorientamento.
Secondo Bauman, le comunità a cui le identità fanno riferimento possono essere di due tipi. Ci sono comunità di vita e di destino i cui membri vivono insieme in attaccamento indissolubile e comunità saldate insieme unicamente da idee o vari principi. Il problema della crisi dell’identità emerge esclusivamente in relazione a comunità del secondo tipo, poiché le idee che le costituiscono sono molteplici e plurali: è proprio perché ci sono così tante idee e principi che si devono fare paragoni, fare scelte, rivedere le scelte fatte in altre occasioni.
In epoca premoderna l’identità è connessa all’appartenenza di un ceto (es. contadino figlio di contadino ecc). In questa condizione sociale l’identità non è un problema dal momento che non vi è scelta.
In epoca moderna le classi sostituiscono i ceti. La classe non si guadagna per diritto di nascita ma bisogna guadagnarsela.
In epoca postmoderna l’identità diviene ricerca, le identità si disperdono nella complessità che porta a vivere situazioni di incertezza. Domandarsi chi siamo ha senso solo se siamo consapevoli di poter diventare altro.
Le persone spesso ritengono che i propri modelli di interpretazione della realtà siano gli unici possibili, confondendo la rappresentazione con la realtà oggettiva. L’esistenza dell’ignoto fa nascere negli uomini un senso di insicurezza. Nel corso del Novecento il modello della conoscenza oggettiva entra in crisi e viene sostituito dal modello della complessità. La conoscenza è sempre determinata dal rapporto del soggetto col proprio linguaggio, la propria cultura, il proprio ambiente, il proprio contesto storico.
La pedagogia è un sapere non lineare che tentando di chiarire gli scenari educativi legati ad un determinato contesto. Ciò che forma l’individuo tramite il cambiamento è l’esperienza cognitiva, affettiva, sociale e culturale. La realtà è complessa e piena di contraddizioni; per questo motivo occorre trovare il modo di far interagire diversi saperi all’interno di una nuova prospettiva. Esistono diversi approcci che riguardano il dialogo tra le diverse discipline:
la pluridisciplinarità riguarda più letture disciplinari per ogni problema;
la metadisciplinarità si riferisce all’esercizio di una riflessione sulle stesse discipline e serve a trovare gli elementi comuni;
la transdisciplinarità riguarda la lettura di più discipline da un punto di vista critico al fine di entrare in rapporto tra loro modificando il proprio modo di vedere la realtà.
Mettendo a confronto questi tre approcci si può capire che la transdisciplinarità è l’approccio epistemologico più coerente perché tocca tutti i saperi. Le caratteristiche principali a cui la transdisciplinarità fa riferimento sono: il rigore dell’argomentazione che tiene conto di tutti i dati; l’apertura comporta l’accettazione dell’ignoto, dell’inatteso; la tolleranza è il riconoscimento del diritto a professare idee e verità contrarie alle nostre.
Il rapporto con i mezzi di comunicazione contemporanei costituisce dei modelli di formazione potenti che agiscono nella costruzione di sé e della conoscenza, sfuggendo alla formazione dei punti di vista critici sulla propria vita. La scuola e l’università, essendo considerate la più importanti istituzioni educative, devono accogliere la possibilità di stabilire contatti con le più vaste realtà sociali. Il ruolo dell’insegnante, del formatore, dell’educatore esige la competenza di padroneggiare l’esperienza complessa, che si costruisce attraverso la capacità di dialogare con sé stesso e con le proprie scelte, tramite l’elaborazione critica del sapere personale. In questo contesto è fondamentale l’educazione intellettuale, culturale, psicologica ed emozionale che si viene a costruire attraverso i rapporti sociali e familiari. Ciò serve a formare nell’individuo comportamenti come autocontrollo, autoconsapevolezza, empatia.
Crescere e cambiare sono due importanti processi che fanno parte della vita anche se non sempre è facile accettare una nuova situazione. Ogni evento nuovo, anche se drammatico, rappresenta una nuova sfida. Nella postmodernità l’identità non può essere altro che ricerca. La responsabilità è il prezzo da pagare per la libertà di scelta, con la possibilità di dover sostenere le conseguenze delle scelte sbagliate. Educare alla consapevolezza di sé significa insegnare a sopportare il peso della rinuncia.
Il metodo critico riflessivo si concentra  sia sull’analisi delle procedure attraverso cui la mente costituisce ed elabora significati, sia  sulla critica del sapere personale e culturale. Questo metodo contribuisce all’analisi del nostro apprendimento di come lo abbiamo imparato e della validità delle nostre presupposizioni. L’esercizio riflessivo si concretizza nella facoltà di attivare un lavoro su sé stessi e sulla conoscenza. L’utilizzo di un metodo critico-riflessivo sostiene la possibilità di formare e formarsi di orientare e orientarsi. Per acquisire un metodo critico è indispensabile avere gli strumenti della cultura: linguaggio, forme di pensiero, ecc. (es. critico d’arte). Lo strumento principale della cultura è il linguaggio; una delle più importanti emergenze pedagogiche riguarda l’analfabetismo culturale, cioè l’incapacità di utilizzare il linguaggio in maniera complessa. La dimensione della cultura costituisce gli strumenti per la costruzione di sé e del mondo; la dimensione dell’identità rappresenta il punto di vista fondamentale tramite cui il soggetto filtra l’esperienza, collocando sé stesso al suo interno; la dimensione emozionale definisce un ulteriore versante del sapere poiché tutto ciò che siamo e che costruiamo tramite la conoscenza passa per il nostro sentire. Il sistema culturale di riferimento costituisce lo sfondo del significato attribuibile alle cose del mondo, anche se le visioni del mondo non sono immutabili. Il lavoro sulla cultura ha tre obiettivi: 1)l’interiorizzazione del sapere culturale è data dall’utilizzo di strumenti di mediazione tra sé e l’esperienza, come flusso imprevedibile di cambiamenti; 2)il confronto con le espressioni plurali della cultura riguardano riflessioni su di essa come esperienza e senso di vita; 3)la decostruzione critica della validità del sapere culturale, nel senso che la cultura plasma il soggetto, ma egli ha la facoltà di intervenire sulla cultura.
L’identità può essere definita attraverso due dimensioni: la dimensione collettiva si costruisce nel rapporto con lo sfondo culturale di appartenenza; quella individuale è legata a quella collettiva. Ognuno di noi vive esperienze uniche e irripetibili; il lavoro educativo  sull’identità si concentra sulla riflessione di questa singolarità.


Le emozioni rappresentano risorse necessarie per la sopravvivenza poiché producono nuove possibilità di apprendimento. Conoscere le proprie emozioni e crescere attraverso il rapporto con la dimensione dei sentimenti può consentire digestive le proprie scelte e comportamenti. Occorre dunque offrire un’educazione attiva alle emozioni e ai sentimenti. Entrare in relazione con le proprie emozioni vuol dire essere capaci di riconoscerle, quindi subentra la capacità di gestirle; ciò porta a indirizzare le emozioni verso uno scopo. Le emozioni possono essere utilizzate come risorsa nella conduzione dell’esistenza poiché queste costituiscono una fonte di energia e di motivazione che muove il sapere e riequilibra l’esperienza dell’essere.

Bibliografia
Lo Presti F. (2009), Educare alle scelte: l'orientamento formativo per la costruzione di identità critiche, Carocci Editore
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domenica 28 settembre 2014

Istruzione pubblica e privata nel mondo

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
La situazione in Italia riguardante le scuole pubbliche e private è nota a tutti. Diamo uno sguardo sul alcuni Paesi del resto del mondo.
In Austria l'esistenza delle scuole private è protetta dalla costituzione (la soppressione delle scuole private fu uno dei primi provvedimenti presi dal nuovo governo nazista). Il governo finanzia direttamente le scuole private in modo che queste risultino completamente gratuite per gli studenti.
In Belgio non esistono differenze di status giuridico tra scuola statale e scuola privata. Lo stato finanzia in egual misura tutte le scuole riconosciute. Gli studenti possono iscriversi liberamente e gratuitamente in qualsiasi scuola, statale o privata che sia; lo stesso discorso vale per la Danimarca, la Svezia e i Paesi Bassi.
In Germania il diritto di creare scuole private è espressamente previsto dall'art. 7 della costituzione e non può essere sospeso neppure durante un eventuale stato di emergenza. I costituenti hanno così voluto prevenire nuovi provvedimenti di "allineamento" come quello attuato dal governo nazista nel 1935.
La costituzione non prevede direttamente il finanziamento delle scuole private ma lo stesso art. 7 proibisce qualsiasi forma di discriminazione o segregazione di studenti dovuta alle condizioni dei genitori; pertanto i singoli land finanziano direttamente le scuole private al fine di evitare che queste, per mantenersi, debbano richiedere rette alle famiglie degli alunni (nel sistema federale tedesco, il governo centrale esercita solo un'azione di controllo e di coordinamento mentre la gestione pratica avviene a livello regionale). Gli studenti in questo modo possono iscriversi liberamente e gratuitamente in qualsiasi scuola privata, anche in una scuola religiosa che professa una religione diversa dallo studente stesso (es: uno studente musulmano può iscriversi liberamente e gratuitamente in una scuola cattolica, etc).
Nel Regno Unito le scuole private sono di due tipi, ben distinti l'uno dall'altro.
Le voluntary schools (letteralmente: scuole volontarie) sono scuole private parificate, che rispettano alcune linee guida dettate dallo stato e che sono finanziate dallo stato. Rientrano in questo gruppo anche le suole religiose. Tutti gli studenti possono iscriversi a una scuola volontaria liberamente e gratuitamente.
Generalmente chiamate scuole indipendenti (indipendent schools) per la loro libertà di operare al di fuori dei regolamenti governativi, le scuole private sono gradite da una significativa percentuale di genitori per il frequente raggiungimento di standard accademici superiori a quelli delle scuole statali e le maggiori opportunità in campi quali lo sport, il teatro e la musica. Molte scuole indipendenti sono riservate ai soli ragazzi o alle sole ragazze (benché questo stia diventando sempre meno comune), ed è motivo di interesse il fatto che queste scuole tendano a mostrare risultati migliori (in particolare nei collegi femminili) per i loro allievi nelle tabelle annuali per i risultati GCSE e A Level.
L'articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana stabilisce che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.», per questo i costi dovrebbero essere sostenuti unicamente dagli studenti attraverso le rette scolastiche; i buoni scuola nel complesso costituiscono una spesa per lo stato e i finanziamenti diretti contraddicono la lettera dell'articolo.
D'altra parte, secondo l'art. 34 della Costituzione «La scuola è aperta a tutti», cosa che non è vera per le scuole private nelle quali i dirigenti possono decidere se accettare o no un'iscrizione; «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» e questo viene reso loro possibile grazie alla gratuità di gran parte del percorso scolastico statale; inoltre «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso» e che devono poter coprire tutte le esigenze degli studenti, senza essere assorbite da rette scolastiche per le scuole private, visto che gli studenti meritevoli dovrebbero poter studiare senza necessità di lavorare anche quando la famiglia non fosse in grado di mantenerli.
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giovedì 18 settembre 2014

Bullismo e Cyberbullismo

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Il bullismo rappresenta una chiara e diffusa forma di malessere sociale largamente presente nel contesto scolastico e non solo. Due sono le principali forme di bullismo: diretto e indiretto. Il bullismo diretto fisico consiste nel picchiare, dare calci, pugni, e così via; il bullismo diretto verbale implica il minacciare, offendere, prendere in giro; il bullismo di tipo indiretto gioca più sul piano psicologico, come l'esclusione dal gruppo di coetanei, l'isolamento, calunnie sul conto della vittima anche attraverso il mondo di internet (cyberbullismo). I protagonisti del fenomeno sono: il bullo, che sfrutta una posizione di superiorità per aggredire, insultare o deridere il compagno (bullo dominante), e il suo comportamento può essere rinforzato dai 'seguaci' che eseguono i suoi ordini. Dall'altro lato c'è la vittima che può essere passiva o provocatrice; ma bulli e vittime non sono gli unici protagonisti del fenomeno dal momento che un ruolo importante giocano gli spettatori i quali possono essere neutrali, incoraggiare il bullo o difendere la vittima. Riuscire a prevenire o comunque eliminare il bullismo a scuola non è semplice. Nel momento in cui viene identificato il bullo bisogna cercare di intervenire senza etichettarlo altrimenti si identificherà nel suo ruolo e sarà ancora più difficile fargli cambiare atteggiamento. Bisogna lavorare molto con tutti gli alunni dal momento che, come detto in precedenza, gli spettatori hanno un ruolo fondamentale, e sensibilizzarli per prendere le difese della vittima e rivolgersi agli adulti competenti sarebbe un grande passo anche per la prevenzione. Purtroppo vivendo in una cultura dove prevale l'autoaffermazione, il desiderio di arrivare per primi, in una cultura lontana dagli aspetti pro sociali del comportamento, vale la pena impegnarsi affinchè i ragazzi possano crescere in un clima di educazione affettiva.

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Bibliografia
Caravita S., L'alunno prepotente. Conoscere e contrastare il bullismo a scuola, La Scuola Editore, Brescia, 2004

venerdì 5 settembre 2014

Concorso educatore asilo nido: come prepararsi

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Spesso i neolaureati in Scienze dell'Educazione si chiedono quale siano i punti base da cui partire per arrivare ad un concorso per Educatori di asilo nido con una certa preparazione. Innanzi tutto bisogna informarsi se il Comune ha istituito un corso di preparazione al concorso; in caso contrario bisogna cominciare lo studio da autodidatta. I concorsi solitamente sono composti da una prima prova scritta e poi da quella orale. La prova scritta del concorso generalmente è un tema. Per scrivere un buon tema si può iniziare appuntando tutto ciò si pensa in quel momento, concentrandosi dunque sul contenuto; si penserà poi successivamente a curare la forma, e cioè si porrà l'attenzione sul lessico, sull'ortografia,sulla punteggiatura, sulla costruzione delle proposizioni e dei periodi e sulla divisione in capoversi. Questo modo di lavorare sarà sicuramente apprezzato dalla commissione che noterà il lavoro razionale e programmato che c'è stato dietro. Per quanto riguarda il tempo che intercorre tra la prova scritta e quella orale sarebbe opportuno organizzarlo sulla base di approfondimenti legati agli argomenti del tema e agli argomenti indicati nel bando. In linea di massima un concorso si basa su cinque tematiche fondamentali: 1) Le origini dell'assistenza alla prima infanzia dal XIX secolo ad oggi; 2) Le leggi regionali sui nidi; 3) Nozioni base di psicologia infantile; 4) Igiene ed educazione sanitaria (la maggior parte dei concorsi verte molto o quasi esclusivamente su questo argomento); 5) Nozioni elementari di diritto costituzionale e di legislazione comunale.
E' consigliabile affidarsi ad almeno un testo guida sui concorsi per Educatori nell'asilo nido, anche se esso costituirà solo la base di ulteriori approfondimenti.
Per tutoraggio studio riguardo la preparazione per l'esame la nostra associazione (con sede a Portici - NA) dispone di docenti e formatori altamente qualificati. Per maggiori informazioni ecco i nostri recapiti.
https://www.facebook.com/Associazione-Educazione-e-Formazione-1554579444829278/
associazioneeducazioneformazione@yahoo.it



Bibliografia
Marcuccini, Massarelli, Pianesi, Savelli, L'educatore nell'asilo nido. MANUALE per la preparazione ai concorsi e l'aggiornamento professionale, Maggioli editore, Rimini, 2011.






venerdì 22 agosto 2014

Pedagogia della diversabilità

Dott.ssa Maddalena Di Rosa
Su facebook da qualche anno ho creato un gruppo dal nome 'Pedagogia della diversabilità'. L'idea è nata nel momento in cui ho cominciato a scrivere la mia tesi di laurea triennale in Scienze dell'Educazione dal titolo 'Disabilità e e-learning'. Tra le varie ricerche di tipo multimediale ciò in cui mi interessava imbattermi sul social network più popolare del mondo era un gruppo che affrontasse diverse tematiche riguardanti la disabilità e sull'educazione  ma una gruppo del genere non esisteva. Un po' scettica sulla riuscita di questa idea ho deciso comunque di provarci e per fortuna il gruppo ha avuto molto successo. Attualmente gli iscritti sono quasi 9.000 in tutto il mondo, per lo più italiani e spagnoli. Chi sono i destinatari del gruppo? Studenti, docenti, educatori, pedagogisti, diversamente abili, psicologi, genitori in cerca di professionisti disposti ad aiutarli, insegnanti e tutti coloro che vogliono approfondire argomenti legati al tema della disabilità. Dal contatto arrivano messaggi che a volte offendono il mio lavoro di informazione, dove chiunque può pubblicare, affermando che sia un gruppo troppo generico e che non riguardi un ramo particolare della disabilità; dall'altro lato, però vedo che il 99% degli iscritti al gruppo ringrazia l'esistenza di questo dal momento che rappresenta un luogo di confronto e di socializzazione e a volte anche un'occasione lavorativa.



In allegato un link di uno dei più grandi sostenitori del dialogo e dell'impegno sociale dell'epoca contemporanea: Paulo Freire.
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/paulo-freire-le-virt%C3%B9-dell%E2%80%98insegnante/3848/default.aspx

Come superare il test di Scienze della Formazione Primaria

Il 20 settembre 2023 ho sostenuto e superato il Concorso per l'ammissione alla facoltà di  Scienze della Formazione Primaria presso l...